Al Teatro Goldoni di Venezia, nell’ambito della breve ma intensa stagione di teatro contemporaneo denominata
ScomodaMente, Ottavia Piccolo
ha presentato la sua interpretazione della tragica storia di Anna Politkovskaja,scritta da Stefano Massini, e allestita con la regia di Silvano Piccardi.
Una storia di grandissima forza: una “discesa agli inferi” determinata dalla stoica volontà della giornalista russa di rimanere fedele alla realtà, a tutti i costi, senza sconti per nessuno, nemmeno per se stessa. Ottavia Piccolo dà voce ai numerosi articoli di denuncia degli orrori della guerra in Cecenia, e – si direbbe – riesce persino a dar corpo alla fiera giornalista, in un teatro che si costruisce solo con la forza della parola e con pochi, minuti, gesti. Manca del tutto la scenografia (come avviene spesso nel teatro di narrazione, basti ricordare il “Kolhaas” di Marco Baliani, o “Cecafumo” di Ascanio Celestini), qui ridotta a una sedia con tavolino, e la scansione delle scene è affidata a frequenti cambi di luce.
Ma la sorpresa inaspettata arriva grazie alle musiche di scena: scritte e suonate da Floraleda Sacchi.
Sorpresa per lo strumento su cui vengono eseguite: l’arpa, usata non solo nelle consuete sonorità romantiche, ma in una gamma amplissima di possibilità ove sono compresi anche gli effetti ideati da Salzedo e in uso nella musica contemporanea per lo strumento. Ecco quindi che un cluster battuto con la chiave nel registro grave evoca il cannoneggiare lontano, o alcune sferzate di glissandi la violenza dei soldati, o il fastidioso ronzare metallico delle corde gravi (col pedale tenuto a metà) lo sferragliare dei carri armati, infine alcuni suoni armonici che sembrano evocare una pietosa campana, forse solo immaginaria. Sorpresa anche per la spinta drammaturgica che la musica di scena imprime allo spettacolo. Abituati come siamo a musiche di scena che… servono solo a coprire un buco o un cambio di scenografia – e che spesso hanno il quoziente di intelligenza… musicale di uno “stacchetto” pubblicitario della televisione – ci troviamo qui felicemente spiazzati dall’unione stretta, dal ritmo con cui parola e suono si intrecciano, come in un melologo (del resto proprio Ottavia Piccolo era stata chiamata nel dicembre 2010, a Venezia, ad interpretare il “Manfred” di Byron, con le musiche, sublimi, di Schumann, eseguite dall’Orchestra del locale Conservatorio).
Se proprio si volesse cercare una cosa da perfezionare nello spettacolo direi che ci sarebbe da decidere… un finale. In prossimità della fine della storia, dopo l’uccisione della protagonista, il ritmo non si impenna, anzi, si inceppa, per effetto delle numerose battute di grandissima forza, fin troppo marcate dagli improvvisi stacchi di buio: troppi e troppo simili. Ma non si tratta che di un dettaglio: lo spettacolo si impone per la forza spirituale delle denunce della Politkovskaja – che travalicano confini temporali e geografici, per divenire denunce universali contro la violenza e la sopraffazione – incarnate fisicamente da Ottavia Piccolo ed efficacemente sostenute dalla musica di Floraleda Sacchi.
Ho assistito a questo spettacolo il 23 maggio 2011, il giorno del 19° anniversario della strage di Capaci e lo spettacolo, senza saperlo, si è rivelato un modo per celebrare degnamente chi ha pagato con la propria vita la dedizione alla ricerca della verità.