Frutto di una politica culturale che intende riportare agli antichi splendori il teatro parigino de l’Opèra Comique,
anche con la produzione di nuove opere di genere comico, Cachafaz ha tutte le qualità per inaugurare questo nuovo cammino. La musica di Oscar Strasnoy gioca con i rimandi al mondo argentino senza cadere nel facile cross-over oggi così di moda. Il compositore, argentino di nascita, ma discendente di ebrei russi, vive da molto tempo in Francia, dove ha studiato. Credo che proprio il suo essere “cittadino del mondo” abbia convinto Oscar a mantenere separate le lingue (musicali) che parla: vi sono scene in cui il suono e l’armonia rimandano all’avanguardia, cori che guardano alle armonie ricche di settime e none di ascendenza francese, arie sulla musica del tango che sono vere e proprie canzoni anni Venti. Ma questi mondi coesistono, fianco a fianco, senza mescolarsi, mantenendo la loro identità, ben plasmati in un ritmo di scene che è la forza dello spettacolo.
La storia ambientata nei bassifondi di Montevideo, tra un gruppo di emigrati, mette in scena la tribolata relazione tra Cachafaz e Raulito, un travestito che si prostituisce. Come sbarazzarsi del corpo di un poliziotto appena ucciso? La soluzione, cannibalesca, riporta la pace nel quartiere (che condivide il pasto) e la nascita di un fiorente commercio che serve come riscatto sociale dei miserabili che lo abitano.
Il merito del grandissimo successo di pubblico alla première di Parigi va cercato – oltre che nella musica – nel formidabile gioco di squadra: Benjamen Lazar crea uno spettacolo allo stesso tempo reale e surreale, perfettamente calibrato sulla Tragédie Barbare di Copi. La voglia di raccontare si sposa con alcuni eccessi caricaturali resi magnificamente sulla scena. Geoffroy Jourdain dirige con grande affiatamento il suo coro da camera “Les Cris de Paris” e i pochi strumenti dell’Ensemble 2E2M. Su tutto, però, è l’interpretazione dei due baritoni – bella sfida per un compositore! – a catturare il pubblico: Lisandro Abadie disegna bene i turbamenti di Cachafaz, ma Marc Mauillon rende la grottesca figura del travestito con una qualità vocale inaudita: dal grave sino agli estremi acuti (da bari-tenore) ha una tale potenza di suono e bellezza di timbro che, uniti alla bravura attoriale, hanno reso indimenticabile il suo personaggio.
Solo una riflessione, amara, si impone: quando vedremo in Italia una politica culturale che decida di far rinascere un teatro, una tradizione, un genere che ci appartiene per cromosoma nazionale? Quando vedremo in Italia finalmente abbattute le barriere tra la musica contemporanea e l’opera lirica? Quando vedremo in Italia una sala piena, completamente soddisfatta, profondersi in applausi convinti alla prima rappresentazione assoluta?