Il romanzo di Andrea Vitali “Almeno il cappello” racconta un mirabolante intreccio di vite, tutte imperniate attorno alle sorti della banda musicale di Bellano, sul lago di Como.
Per chi, come me, ha mosso da ragazzo i primi passi dell’apprendimento della musica proprio in una banda (quella di Legnago), la lettura del libro può scatenare un piacevolissimo gioco di immedesimazione: i personaggi del racconto sembrano proprio usciti dalla realtà minuscola di un paese: dall’ignoranza, dal pettegolezzo, dal campanilismo – ma anche dalla genuina brama di conoscere, dalla solidarietà, dai “valori di una volta” – che solo in una piccola realtà è dato vivere.
Ecco allora che le figure quasi bozzettistiche, come quella del ragioner Onorato Geminazzi – prima (no!, seconda) cornetta nella filarmonica di un paese rivale, che diverrà il Maestro del “Corpo Musicale Bellanese” – diventano subito credibili, quando riescono a inserirsi nei giochi di potere, caratterizzati da una fetida logica di favoritismi, come è tipico del periodo fascista, in cui è ambientata la vicenda.
La mano felicissima di Andrea Vitali (anche egli vanta un passato come “trombone” nella fanfara del suo paese) ha buon gioco nel tratteggiare dei personaggi che sembrano… proiezioni degli strumenti che suonano: la guardia comunale Carletto Pianìn (trombone) deve sempre mediare tra le istanze del potere (podestà e sindaco) come un buon basso deve sempre sostenere l’armonia; l’operaio di segheria Evelindo Nasazzi, riconosciuto da tutti come il più valente suonatore di bombardino, da vero artista “maledetto”, deve sottostare alle tremende cure della nuova moglie, che con ogni mezzo cerca di impedirgli la fatale dedizione… alla bottiglia; il povero lavorante (ma socialista) e libertino Guzzìn, clarin(ett)o di sincere qualità, deve pagare con “stecche” clamorose, proprio durante la prova generale, lo smacco del vedersi soffiare la presunta fidanzata Armellina Banchieri (dotata di un “davanzale”… fuori del comune) dall’arrogante segretario della sezione locale del Partito fascista.
Ed anche la scrittura ha qualche andamento musicale: i singoli capitoli finiscono con una parola (come una “corona” musicale) che viene ripresa ad apertura del capitolo successivo, sia che esso segua nella direzione immaginata (come confermando la tonalità, dopo una cadenza), sia che esso ci sbalzi improvvisamente in un altro sentiero dell’intricata ma godibilissima trama (come dopo una “cadenza d’inganno”).
Il romanzo racconta un’Italia che (forse) non c’è più e che certo anche grazie alla coesione sociale garantita dalle bande si era formata. Come non pensare – nell’anno in cui si festeggia il 150° anniversario dell’unità d’Italia – a quanta parte hanno avuto nella diffusione delle musiche e degli ideali del Risorgimento le varie “Filarmoniche” sparse nel territorio italiano, dalla Sicilia al Piemonte?
Ancora oggi – che il repertorio delle bande si è decisamente aperto ad altri generi – la funzione sociale della banda potrebbe essere fondamentale, sia per la diffusione della conoscenza della musica che, non secondariamente, come fattore di aggregazione sociale, di un gruppo con età anche molto diverse, dedito a raggiungere un obiettivo comune, che necessita del contributo di tutti.
Il merito del bellissimo libro di Andrea Vitali sta anche in questo: nell’aver messo la banda – la musica – al centro della storia, per il potere che essa ha di trasfigurare le vite dei singoli personaggi, come di tutti noi.
L'immagine a fianco riproduce la banda di Celenza Valfortore (FG) nel 1919